“Riportare i call center in Italia”

La Stampa

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All’insegna dell’«Italy first» l’obiettivo che si è dato il governo è di riportare in Italia 20 mila posti di lavoro facendo rientrare i call center che in questi anni sono stati trasferiti all’estero. Questo, come insegna la storia recente di Almaviva, è uno dei settori che negli ultimi tempi ha sofferto di più: fatturati in caduta libera, margini ridotti all’osso e tantissime attività delocalizzate al solo scopo di ridurre i costi del personale. Dopo aver introdotto a inizio anno un severo giro di vite sulle delocalizzazioni che sta già dando i suoi risultati ieri è stato compiuto un altro passo in avanti. A Palazzo Chigi 13 grandi committenti, che da soli valgono il 65% del mercato, hanno infatti sottoscritto un protocollo d’intesa che fissa altri paletti. «È il primo caso di accordi del genere in Europa – ha spiegato il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda -. Lo facciamo non perché siamo contro il libero mercato ma perché ci sono settori più esposti e senza difesa». 

Il governo crede molto nella strategia messa a punto al ministero dello Sviluppo. «Dopo aver preso alcune decisioni nell’ultima legge di bilancio e aver cercato di affrontare alcune grandi vertenze che hanno investito gli operatori del settore, in questo caso l’esecutivo ha svolto un ruolo di facilitatore - ha spiegato il premier Gentiloni -. In Italia abbiamo gettato un’ancora di protezione sociale in un settore delicato. Per il governo questo è un valore da rivendicare».  

L’accordo, valido per 18 mesi, tacitamente rinnovabile e sottoposto a verifica dopo 12, è stato firmato da Eni, Enel, Sky, Intesa Sanpaolo, Tim, Fastweb, Poste, Trenitalia, Ntv, Wind Tre, Unicredit, Vodafone e Mediaset. E in particolare prevede che almeno l’80% dei volumi in «outsourcing» sia effettuato sul territorio italiano e che entro sei mesi il 95% delle attività in via diretta sia effettuato in Italia. Sul piano della qualità del servizio tra l’altro è previsto il rispetto delle norme sulla privacy e delle fasce orarie «protette» e la certificazione linguistica «B2» per gli operatori fuori dal territorio nazionale. In materia di costo del lavoro si prevede la sterilizzazione di questa componente dalle offerte, escludendo quei fornitori che presentano costi orari inferiori ai parametri fissati da accordi sindacali o contratti nazionali, come avviene già nella pubblica amministrazione. Infine viene introdotta una clausola sociale per proteggere i lavoratori dai cambi di appalto. 

Tutti i sindacati, dalla Cgil all’Ugl, si sono espressi a favore. Lo stesso ha fatto Assocontact-Confindustria. Quello dei call center è un settore ad altissima intensità di lavoro, che oggi occupa circa 80 mila persone, perlopiù over 30 difficilmente ricollocabili, che non poteva non essere protetto. I dati sui primi 4 mesi del 2017 danno ragione al governo. Come ha spiegato Calenda, grazie alle nuove regole le sanzioni per chi delocalizza senza segnalazione, e quelle per le gare sottocosto, sono state 120 per un importo di 2 milioni di euro mentre nel 2016 erano 34 per 100 mila. «In pratica sono quadruplicate – commenta soddisfatto il ministro -. È chiaro che era un meccanismo che andava messo a posto, non funzionava».  

Fonte dell'articolo: Vedi su La Stampa
13 maggio 2017

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